Attrazione mamma figlia
Prefazione
Questa è una storia vera. Per quanto sensuale e peccaminosa, angelica o infernale possa sembrare, è vera.
Mi sono dovuto spogliare dei miei pregiudizi e della mia educazione per poterla accettare... in parte capire e, infine, amare.
La forza di questo racconto proviene anche dalla “Fonte”, la mia amica A. La ragazza più delicata, fine e sensibile che abbia mai avuto l’onore di incrociare. La stessa che, qualche anno fa, mi ha donato il racconto della sua giovinezza, da me condensata ne: La fata di ferro.
A lei va il mio ringraziamento e il mio affetto incondizionato.
Grazie A, dolcissima creatura, dovunque tu sia. Forse non posso capire ma sono certa che dal vostro “esecrabile” senso dell’Amore nasce cultura, bene e rispetto, mentre dalla “morale”, tanto decantata, del “mio mondo civile” nasce avidità, menzogna, brama di potere e guerra.
Spesso, chi strilla per ergersi a censore cerca solo di nascondere la propria incapacità di imparare, di cambiare, l’intolleranza e la mancanza di rispetto per gli altri.
1
La signora Thorn era in ritardo, un ritardo notevole, e se ne rammaricò.
Il suo “angioletto” oramai avrebbe pensato che, per quel giorno, non sarebbe andata da lei. Invece, una serie infinita di beghe e di contrattempi le aveva del tutto sfasato la tabella di marcia, ma lei era fermamente decisa a passare da sua figlia, almeno per il bacio della buonanotte.
Il taxi raggiunse in fretta l’ospedale; pagò rapidamente e scese. Aveva ancora un ostacolo da superare: il controllo severo degli orari di visita. Per quello puntava tutto sul suo fascino che, nonostante fosse vicina ai cinquanta, sembrava avere ancora un ascendente sul Professor Claim, capo del reparto di Pneumologia, quello dove il suo angioletto era in degenza da venti giorni.
La caposala del turno serale era Wanda, la conosceva e sapeva di poter contare sulla sua complicità; aveva adottato la sua bambina e la coccolava con delicatezza, nonostante la sua stazza da lottatore di Sumo.
Un brivido maligno attraversò la schiena della signora Thorn, era sempre lo stesso, quello che provava tutte le volte in cui, come un flash fotografico, vedeva comparire nella mente l’immagine di Thess abbarbicata a un’altra donna.
La sua piccola, perversa bambina che riusciva sempre a fustigare il suo cuore di mamma...
2
S’è fatto tardi... mamma non verrà più, pensò Thess guardando fuori la sera incombente. Lontano, sulla tangenziale, le automobili scorrevano tranquille, riportando a casa le persone.
Le era sempre piaciuta la sera; la strada si tingeva dello stesso colore umido di uno specchio d’argento. Le luci lontane dei palazzi e i fari delle macchine intarsiavano, sul pavé, immagini distorte e affascinanti.
Forse quei riflessi erano una delle rappresentazioni più romantiche della modernità.
Thess si sentiva meglio, molto meglio. Una bronchite trascurata aveva invaso i suoi delicati polmoni; adesso il peggio era passato e il giorno dopo sarebbe uscita, finalmente. Non era più una ragazzina ma ancora abbastanza giovane da desiderare la gioia, il divertimento e l’aria aperta. Malgrado la malattia, aveva apprezzato quella pausa forzata; aveva avuto l’opportunità di rinsaldare il rapporto con la mamma.
Niente di grave... solite tensioni: a lei non piaceva troppo il compagno di sua madre e sua madre non era raggiante per la sua amicizia, assai intima, con Layla.
Con Layla condivideva l’appartamento; si amavano da tre anni ma senza impegno, senza paletti; lei amava sentirsi libera e Thess aveva imparato a non soffrirne.
La sua compagna era venuta in ospedale solo due volte, poi, appena le sue condizioni erano migliorate, con grande tatto, aveva lasciato campo libero alla madre. Che dolce; non l'aveva mai fatta sentire sola, le mandava di continuo messaggi per dirle quanto le mancassero le sue labbra.
Il corridoio dell'ospedale era silenzioso e tranquillo.
Thess diede uno sguardo al cellulare per controllare l'ora; avevano appena lasciato il vassoio con la cena, alla visita successiva, probabilmente della Caposala, mancava ancora un'ora. Con le dita affusolate e rapide cercò l'ultimo messaggio della sua amante.
Sentì caldo al cuore e scrisse, quasi automaticamente:
"Non ce la faccio più, amore, adesso mi frugo tra le cosce per cercarti..."
Invio.
Scrivere quelle parole ebbe un effetto dirompente sulla sua libidine a lungo trattenuta.
Thess aveva appena ripreso le forze e, dopo un mese di astinenza forzata, l'inguine le bruciava, alla ricerca di un solido refrigerio.
Aprì la cartella segreta del cellulare e sfogliò con incalzante eccitazione le immagini che ritraevano Layla, semisvestita o del tutto nuda: in certe pose, dolce come un'educanda, in altre sguaiata come una prostituta.
Thess si guardò le mani, quel giorno si era dedicata al suo corpo e alla fine si era concessa un’approfondita manicure. Lo smalto rosso fuoco era l'omaggio, il richiamo per dire alla sua donna:
"Amore, sono tutta tua..."
Le manine dalla pelle deliziosa e le dita curate affondarono sotto le lenzuola, mentre Thess si cercava i seni sodi e proporzionati e la natura, calda e umida.
Sua madre non sarebbe venuta... non le dispiaceva più adesso. O meglio, da porcellina, sperava che venisse e la vedesse mentre si dava piacere, come accadeva spesso nei suoi sogni segreti.
Il calore intimo di Thess non chiedeva di meglio che essere imbrigliato in un desiderio; come un fiume incandescente che cerca uno sfogo adeguato e consolatore.
Thess non si toccava da tanto.
Iniziò con delicatezza estrema: ogni volta che si masturbava, le sembrava di incontrare il suo corpo per la prima volta. Socchiuse gli occhi, iniziò a distaccarsi dal mondo; l'elettricità che si sviluppava quando il suo palmo passava con finta indifferenza sul clitoride sensibile, si trasformava in piccole esplosioni colorate che le avviluppavano la mente e le davano la sensazione di sprofondare.
Col filo dei pensieri provò a raggiungere Layla, il suo amore distante, ma poi, a mano a mano che l'eccitazione saliva, i suoi ricordi e le sue fantasie divennero più oscene e intrise di voglia.
La sua piccola figa era già densa di umori, ma alle grandi labbra, gonfie e socchiuse, arrivava solo un sottile velo di umidità calda. Thess sapeva che l’asciutto sarebbe diventato umido e l'umido bagnato, ma non volle forzare la mano. Avrebbe potuto “imburrare” subito le dita, affondandole nella saliva, per poi spingerle, voraci, nel suo spacco che adesso vibrava di desiderio, invece decise di attendere. Non aveva fretta, non c'era nessuno e poi, come le capitava spesso di pensare, non avrebbe chiesto di meglio: essere vista... spiata, mentre era veramente se stessa. Quando l'angelo diventava assatanato, quando da "dolce" si faceva furia.
La mano sinistra tirò verso il basso il capezzolo turgido, assieme alla sua aureola, altrettanto gonfia e soda.
Un fruscio? Forse...
Ma no: impossibile!
Genere
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